Principio di legalità e divieto di analogia in materia penale: il giudice non può applicare la legge penale in situazioni non riconducibili al significato letterale delle espressioni usate dal legislatore (fonte: comunicato stampa della Corte Costituzionale 14.5.2021).
La Corte ha anzitutto sottolineato che il reato di maltrattamenti in famiglia presuppone, per quanto qui rileva, che le condotte abusive siano compiute nei confronti di una persona della stessa “famiglia”, oppure di una persona “convivente”; e che, invece, il reato di atti persecutori aggravati prevede che le condotte vengano compiute nei confronti di persona che sia o sia stata legata all’autore da una “relazione affettiva”. Ha quindi rammentato il fondamentale canone interpretativo in materia penale, basato sull’art. 25 secondo comma Cost. e rappresentato dal divieto di applicare la legge oltre i casi da essa espressamente stabiliti. Questo divieto impedisce – ha proseguito la Consulta – di riferire la norma a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei significati letterali delle espressioni utilizzate dal legislatore. Ciò a garanzia sia del principio della separazione dei poteri, che assegna al legislatore – e non al giudice – l’individuazione dei confini delle figure di reato; sia della prevedibilità per il cittadino dell’applicazione della legge penale, che sarebbe frustrata laddove al giudice fosse consentito assegnare al testo un significato ulteriore e distinto da quello desumibile dalla sua immediata lettura (fonte: comunicato stampa della Corte Costituzionale del 14.5.2021).
–> sentenza per esteso della Corte Costituzionale n. 98 del 14.5.2021