Nel caso di concessione di credito, è invero convincente l’inquadramento della stessa, se si vuole operare secondo categorie classificatorie, nell’ambito della responsabilità di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., da cui derivano, a carico delle parti, reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c..
Come hanno chiarito le Sezioni unite, opera la distinzione tra gli obblighi che precedono ed accompagnano la stipulazione del contratto ed obblighi che si riferiscono alla successiva fase esecutiva: la violazione dei primi destinata a produrre una responsabilità di tipo precontrattuale con il conseguente risarcimento del danno, senza che ciò sia impedito dall’avvenuta stipulazione del contratto, assumendo l’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto ex art. 1337 e 1338 c.c. rilievo “non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto”; la violazione degli obblighi che si pongono, invece, nella fase successiva alla stipulazione del contratto assumendo i caratteri dell’inadempimento o inesatto adempimento contrattuale, trattandosi di doveri di fonte legale, ma derivanti da norme inderogabili e destinati ad integrare a tutti gli effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti.
Si è bene rilevato come la ratio storica degli artt. 1337 e 1338 c.c. – espressione della tensione di tutti i fattori verso la realizzazione della massima produzione nazionale (così la relazione illustrativa), donde per un “affiato economicistico e produttivistico” si apprestavano “strumenti risarcitori di fronte all’inutilizzazione (mancata conclusione del contratto) od allo sperpero (contratto invalido) di valori patrimoniali”, atteso il disvalore ricollegato alle condotte impedienti la nascita di quei valori meritevoli di tutela che il contratto (sfumato o invalidamente concluso) avrebbe perseguito – sia man mano trascolorata verso una valenza generale del dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede, ogni volta, in particolare, che tra i consociati si instaurano momenti relazionali socialmente o giuridicamente qualificati, secondo la teoria del c.d. contatto sociale qualificato. E dove l’elemento ricorrente, che contribuisce a qualificare il contatto sociale come fonte di doveri puntuali di correttezza, è rappresentato dal particolare status professionale rivestito.
In conclusione, posto che l’art. 1337 c.c. ha valore di clausola generale, onde le applicazioni di tale principio richiamate nella disposizione e nell’art. 1338 non sono esaustive, a tale norma può essere ricondotta anche la stipulazione di un contratto di finanziamento c.d. abusivo che si inserisca nella serie causale eziologicamente ricollegata al danno subito dall’altro contraente.
Ne deriva che se un’obbligazione, sorta dal fatto giuridico del contatto o dal contratto di finanziamento, preesiste all’inadempimento, si applica la disciplina dell’art. 1218 c.c., quanto all’onere della prova per il creditore danneggiato ed al termine di prescrizione.
L’erogazione del credito che sia qualificabile come “abusiva”, in quanto effettuata, con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività d’impresa.
Non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell’intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un’impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi”.
Il curatore fallimentare è legittimato ad agire contro la banca per la concessione abusiva del credito, in caso di illecita nuova finanza o di mantenimento dei contratti in corso, che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, per il danno diretto all’impresa conseguito al finanziamento e per il pregiudizio all’intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c..
La responsabilità in capo alla banca, qualora abusiva finanziatrice, può sussistere in concorso con quella degli organi sociali di cui alla L.Fall., art. 146, in via di solidarietà passiva ai sensi dell’art. 2055 c.c., quali fatti causatori del medesimo danno, senza che, peraltro, sia necessario l’esercizio congiunto delle azioni verso gli organi sociali e verso il finanziatore, trattandosi di mero litisconsorzio facoltativo.
Cassazione civile, sezione prima, ordinanza del 14.09.2021, n. 24725