Controllo di compatibilità con diritto dell’Unione europea e scrutinio di legittimità costituzionale: è concorso di rimedi giurisdizionali

Il controllo di compatibilità con il diritto dell’Unione europea e lo scrutinio di legittimità costituzionale non siano in contrapposizione tra loro, ma costituiscano «un concorso di rimedi giurisdizionali, [il quale] arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione» (sentenza n. 20 del 2019). E ciò in un contesto «che vede tanto il giudice comune quanto questa Corte impegnati a dare attuazione al diritto dell’Unione europea nell’ordinamento italiano, ciascuno con i propri strumenti e ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze» (sentenza n. 149 del 2022).

La dichiarazione d’illegittimità costituzionale della normativa interna, del resto, offre un surplus di garanzia al primato del diritto dell’Unione europea, sotto il profilo della certezza e della sua uniforme applicazione. Fermo restando, infatti, che all’obbligo di applicare le disposizioni dotate di effetti diretti sono soggetti non solo tutti i giudici, ma anche la stessa pubblica amministrazione – sicché ove vi sia una normativa interna incompatibile con dette disposizioni essa non deve trovare applicazione – può altresì verificarsi che, per mancata contezza della predetta incompatibilità o in ragione di approdi ermeneutici che la ritengano insussistente, le norme interne continuino a essere utilizzate e applicate. Proprio per evitare tale evenienza, e fermi restando ovviamente gli altri rimedi che l’ordinamento conosce per l’uniforme applicazione del diritto quando ciò accada, la questione di legittimità costituzionale offre la possibilità, ove ne ricorrano i presupposti, di addivenire alla rimozione dall’ordinamento, con l’efficacia vincolante propria delle sentenze di accoglimento, di quelle norme che siano in contrasto con il diritto dell’Unione europea.

Va da sé che, prima di dare attuazione al diritto dell’Unione europea, il giudice ordinario deve adeguatamente interrogarsi sul significato normativo del diritto UE e sulla compatibilità con il medesimo del diritto interno.

Il principio del primato del diritto dell’Unione discende dal principio dell’eguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati (art. 4 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), che esclude la possibilità di fare prevalere, contro l’ordine giuridico dell’Unione, una misura unilaterale di uno Stato membro (Corte di giustizia, sentenza 22 febbraio 2022, in causa C-430/21, RS). L’obbligo di dare applicazione al diritto dell’Unione, quando ne ricorrono i presupposti, implica che esso sia interpretato in modo uniforme in tutti gli Stati membri.

La corretta applicazione e l’interpretazione uniforme del diritto UE sono garantiti dalla Corte di giustizia, cui i giudici nazionali possono rivolgersi attraverso il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, così cooperando direttamente con la funzione affidata dai Trattati alla Corte (Corte di giustizia, parere 1/09 dell’8 marzo 2011, recante «Accordo relativo alla creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti»). È nell’ambito di questo confronto che la Corte di giustizia instaura con i giudici nazionali, in quanto incaricati dell’applicazione del diritto dell’Unione, che essa fornisce l’interpretazione di tale diritto, allorché la sua applicazione sia necessaria per dirimere la controversia sottoposta al loro esame.

La necessità di rivolgersi alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 267 TFUE, che costituisce un obbligo in capo ai giudici nazionali di ultima istanza, viene tuttavia meno, secondo la giurisprudenza della stessa Corte, non solo quando la questione non sia rilevante o quando la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi sia stata già oggetto di interpretazione da parte della Corte, ma anche in tutti i casi in cui la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi.

 

Corte Costituzionale, sentenza del 12.2.2024, n. 15

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